RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX - G8, i motivi della sentenza
Genova, 11 febbraio 2009
G8, i motivi della sentenza
«Alla scuola Diaz fatti disumani ma non vi fu un complotto»
In 370 pagine i giudici scrivono che chi doveva garantire la legalità commise gravi violenze, ma che la vera colpa fu del caos
«Quanto accadde all'interno della scuola Diaz Pertini fu al di fuori di ogni principio di umanità ma non si trattò di una spedizione punitiva ordita dopo un complotto». È uno dei punti salienti delle 400 pagine di motivazioni della sentenza del 13 novembre al processo per i fatti del G8 del 2001 a Genova.
«Diaz,un patto segreto
solo tra i picchiatori»
Le motivazioni della sentenza che assolve i capi della polizia:
«Sensod'impunità e indagini boicottate, ma nessun complotto»
I vertici della polizia presenti
alla Diaz (nella foto Francesco
Gratteri) assolti perché
«potevano non sapere»
I VERTICI ASSOLTI
«NON CONSAPEVOLI»
GRAZIANO CETARA
MATTEO INDICE
Il massacro della Diaz fu
«al di fuori di ogni principio di umanità», ma «non si trattò di una spedizione
punitiva ordita dopo un complotto». L'unico accordo "doloso",
semmai, fu messo in pratica dai capisquadra
del Reparto Mobile, i picchiatori,
insieme al loro capo Vincenzo
Canterini. E alla fine i superfunzionari,
oggi ai vertici della pubblica sicurezza
italiana, che erano sul campo, sono
stati assolti perché apparentemente
«inconsapevoli» della redazione dei
falsi verbali e di altri soprusi. Nonostante
l'atteggiamento della polizia
abbia certificato la «volontà di nascondere
i fatti» ostacolando le indagini.
Per tutti, comunque, valgono le attenuanti
«dello stress e della stanchezza».
Tutta colpa del caos. In 370 pagine
i giudici provano a spiegare perché, tre
mesi fa, il processo sull'irruzione delle forze dell'ordine nella sede del Genoa
Social Forum ai tempi del G8, si è concluso
con 16 assoluzioni e 13 condanne "minori" (35 anni e 7 mesi di reclusione
complessivi). E la sintesi non è poi così complessa: la violenza è innegabile
e però fu sostanzialmente il
frutto di un grande caos, un calderone
nel quale finisce dentro un po' tutto. E
alla fine sì, per molti imputati si possono
sospettare azioni pesanti, ma gli indizi si sono rivelati spesso «semplici
e non univoci». Per questo sono insufficienti
ad accertare responsabilità in
un contesto (la guerriglia urbana e le
ore successive) nel quale «nulla era più
in grado di stupire o di essere giudicato
secondo criteri logici e normali». Con
una precisazione: «I giudici dovevano
accertare le singole responsabilità penali,
non fare un processo politico».
Ecco perché, per esempio, tra i casi definiti
«bizzarri» e «scarsamente logici»
compare l'episodio della coltellata
all'agente Massimo Nucera. Falsa? Vera? «Impossibile stabilire con certezza
». E il discorso è chiuso.
Soprusi inaccettabili. Sebbene
«del tutto giustificatamente venne ritenuto che nella scuola si potevano trovare
appartenenti al black bloc, in uno
Stato di diritto non è accettabile che
proprio coloro che dovrebbero essere i
tutori dell'ordine e della legalità compiano azioni
lesive» come i pestaggi avvenuti
nella scuola. Eppure, insistono
Gabrio Barone, Annaleila Dello preite e
Fulvia Maggio, è altamente improbabile che i più alti dirigent iavessero preparato
un disastro del genere. «Va osservato che funzionari quali La Barbera,
Luperi e Gratteri, ben difficilmente
avrebbero avvisato i giornalisti
di quanto si stava compiendo e si sarebbero
recati sul posto, qualora fossero
stati consapevoli che si trattava di
una "spedizione punitiva", ovvero di
un'operazione creata ad arte con prove
false».
Impunità e omertà. L'esplodere
della violenza nell'istituto non può
«trovare giustificazione se non nella
consapevolezza di poter agire senza alcuna
conseguenza e quindi nella certezza
dell'impunita». Una consapevolezza che accompagna gli
innegabili intralci
all'inchiesta condotta dai pubblici
ministeri Enrico Zucca e
Francesco Cardona Albini. Da parte
della polizia vi fu «un atteggiamento di
distacco nell'individuare gli autori
delle violenze e nell'accertare le singole
responsabilità». E questo atteggiamento
«ha contribuito ad avvalorare
la sensazione di una certa volontà
di nascondere i fatti». La giustificazione
di un simile atteggiamento, insiste
tuttavia il tribunale, va essenzialmente
ricondotta «a un malinteso
senso di tutela dell'onore dell'istituzione», che ha portato a un «accordo,
tacito o anche espresso», sul celare gli
abusi. C'è anche un passaggio critico
nei confronti dei pm: «La richiesta archiviazione
delle imputazioni nei confronti
dei possibili esecutori materiali
delle violenze, evidentemente determinata
dalle difficoltà incontrate nella
loro individuazione, non ha sicuramente
favorito l'accertamento delle
singole responsabilità». Come dire: sarebbe stato più facile cercare tutti
i picchiatori che concentrarsi sui "mandanti".
Le false molotov. Riguardo alle singole
posizioni, tutto ruota attorno alle
false molotov portate alla Diaz per sostegno
la necessità di compiere il blitz.
Manca la prova che a sapere di questo
sotterfugio fossero anche altri funzionari
oltre ai due poliziotti condannati
per l'episodio specifico (Pietro Troiani
e Michele Burgio): «Riguardo al trasporto
delle bottiglie l'ordine rivolto a
Burgio sarebbe stato così evidentemente
illegittimo da poter essere percepito
come tale da chiunque». Per
Giovanni Luperi e FrancescoGratteri,
due dei più alti "graduati" della polizia
presenti fuori dalla scuola (oggi al vertice
di anticrimine e antiterrorismo)
«non è provato che si fossero resi conto
di quanto era realmente avvenuto nei
minuti precedenti il loro ingresso o
della provenienza delle molotov». E
firmarono i verbali fasulli sul ritrovamento
delle molotov perché "fuorviati"
dalla relazione del capo del Reparto mobile Vincenzo Canterini.
Complicità.
Proprio su Canterini,
l'unico dei "generali" sul campo a esser
stato condannato: «Risulta evidente
che entrò nella scuola quando ancora
le violenze erano in corso e non solo
non intervenne in alcun modo per farle
cessare, né denunciò quanto aveva
visto, ma omise anche qualsiasi accenno
in proposito nelle sue relazioni». Il «comportamento omissivo
costituisce conferma dell'esistenza di
una sorta di accordo tra i dirigenti e gli
agenti del suo nucleo, volto a garantire
l'impunità di questi ultimi». Tra l'altro
i capi squadra (otto, tutti condannati)
«non poterono non rendersi conto di
quanto stava accadendo». Il giudice ha
parole di riprovazione pure per Michelangelo
Fournier, il funzionario che a
processo definì quanto avvenuto nelle
aule una «macelleria messicana» e intervenne
per arginare il massacro:
«Non è possibile che non abbia visto
ciò che stava avvenendo. E con tale
comportamento e con il suo silenzio,
dunque, Fournier non solo consentì la
prosecuzione delle violenze, ma confermò
la convinzione d'impunità da
parte di coloro che le ponevano in essere». La sua condanna è comunque
mitigata dalla tardiva collaborazione.
Le vittime. Il dramma del giornalista
Mark Covell, in coma dopo essere
stato colpito all'ingresso, è «oggetto di
un altro procedimento» (così si spiega
il peso limitato nella sentenza Diaz). E
comunque «venne arrestato non certamente
perché giornalista, ma soltanto
perché trovato nei pressi della
scuola e ritenuto responsabile dei reati
addebitati a coloro che erano nello
stesso edificio». E il Genoa social
forum?«Non fu parte lesa: nessuno dei
reati accertati appare commesso in suo
danno o dei suoi affiliati o simpatizzanti
in quanto tali».